Diari

Emanuela Canepa, L’animale femmina

mercoledì, 26 Luglio 2017

Il cinque maggio del 2017- era un venerdì – ho scoperto per caso leggendo un articolo che Alice Munro e Margaret Atwood sono molto amiche. Non era un fine settimana qualsiasi. Le selezioni del Calvino erano quasi concluse e di lì a poco sarebbero partite le telefonate. Se ero entrata in finale il presidente avrebbe chiamato per avvisare. Se invece nel giro di qualche giorno non mi avesse chiamato nessuno, sapevo di dovermi togliere ogni illusione dalla testa. Per cui quando ho letto di Alice Munro e Margaret Atwood mi è sembrato un segno. Ho la tendenza ad attribuire un senso e una direzione di marcia ai fatti che mi capitano, e nessuna simpatia per il caso fortuito. Magari esiste, ma mi annoia.

Alice Munro e Margaret Atwood sono tra le scrittrici che amo di più. L’idea che fra loro ci sia anche un legame sentimentale, una sorellanza, e quindi un travaso di suggestioni tra due universi così dissimili, tra i silenzi sospesi di Munro e la ferocia distopica di Atwood, mi ha emozionata. Allora sono andata in rete a cercare delle immagini che le ritraessero insieme. Ne ho trovata una bellissima presa a un party di Natale, sullo sfondo si vede l’albero con i festoni. Credo sia stata scattata nel 2013, durante i festeggiamenti per il Nobel di Munro.

L’ho guardata per dieci minuti e poi ho pensato: mai viste due autrici che portino l’impronta della loro scrittura incisa nel corpo in modo più esplicito. Alice, che tra le due è la più alta, ha l’autorevolezza amorevole di una matriarca, la sua forza è il letto di un fiume che trascina tutto, lasciando che la vita fluisca come parte di un processo quieto e inarrestabile senza inizio né fine. Margaret è più piccola, ha una testa di riccioli grigi, una fronte immensa, e due occhi accesi come un puntatore laser. È intelligenza incandescente, lungimiranza, chiarezza di visione. Margaret guarda al prossimo secolo e vede già quello che accadrà, o quello che potrebbe accadere, specie se non stiamo attenti.

Allora ho deciso di stampare la foto, e poi di attaccarla sul muro con il preciso intento di elevare Alice e Margaret al ruolo di divinità domestiche, sussurrando una preghiera laica senza pretese. Una cosa del tipo vedete un po’ quello che potete fare.

Ha funzionato, perché la telefonata è arrivata due giorni dopo, il lunedì, verso le quattro del pomeriggio. Di tutto quello che è venuto poi – Torino, il Circolo dei Lettori, la Premiazione, la gioia condivisa con gli altri finalisti – e che è stato strabiliante, ho ricordi piuttosto confusi. So che mi ha fatto provare la gioia enorme di condividere lo stesso distretto di senso di Alice e Margaret, sia pure da uno spazio distante e periferico come quello che posso permettermi di occupare.

Quando sono rientrata a casa la prima cosa che ho fatto è stata tornare di fronte alla foto per ringraziare. Loro erano sempre lì, con il bicchiere di champagne in mano, a festeggiare il Nobel e il Natale. Non c’è correlazione tra quell’immagine e tutto quello che è successo, lo so. Una parte di me ne è consapevole. Ma non è la parte che preferisco. Quella che preferisco si è scelta con attenzione i penati da invocare. Non solo due scrittrici ardenti, ma due scrittrici saldate tra loro in un abbraccio che dichiara che l’amore moltiplica il talento. Dice tanto sul modo in cui si proiettano in quello che scrivono, e tanto di quello che voglio tentare di essere anch’io.

Resteranno sul muro, perché ne avrò bisogno.

Nicolò Cavallaro, Le lettere dal carcere di 32 B

mercoledì, 26 Luglio 2017

26 agosto 2016
«Perché non lo mandi al Calvino?»
«Buono ’sto hamburger. Vuoi assaggiare?»

11 maggio 2017
«Ti faccio la domanda più stupida. C’è un dress code?»
«Mah, guarda…»

13 maggio 2017
«Prendo questa.»

9 settembre 2016
«Sono a meno di metà. Angoscia alla Black Mirror. Ah, ho trovato un typo.»
«Un che?»

28 settembre 2016
«A te quando fanno sapere qualcosa del Calvino?»
«Non prima di maggio, penso.»
«Maggio? Ma che so’ matti?»
«Tanti iscritti… I lavori di lettura durano praticamente un anno. A maggio dovrebbe uscire una selezione. Segnalati e finalisti.»

9 maggio 2017
«Ho appena ricevuto una bella notizia. Ho una sorta di impegno di riservatezza per altre due settimane, ma almeno a te vorrei dirla. Non vedo l’ora di vederti.»

10 novembre 2016
«L’ho finito. Mi è piaciuto.»
«Contento. È un po’ una pezza, eh?»
«Super pezza. Non sai nulla della sua storia, se qualcuno lo ascolta, in che carcere è, se è un pazzo in manicomio. Che lui sia maniacale lo vedi dal modo in cui scrive. La parte del puzzle, di come conta i pezzi… aiuto.»

27 marzo 2017
«Ho saputo poco fa. Vorrei sentirti, e sentire da te come stai. Quando ne hai la voglia, chiamami. Ti mando un abbraccio fortissimo.»
«Trasformata in paziente, paziento.»
«Forza, mostriciattolo.»

30 maggio 2017
«Andiamo avanti. E continuiamo con Nicolò Cavallaro. Le lettere dal carcere di 32 B.»

24 maggio 2017
«Tu come stai messa? Fai un salto a Torino?»
«Macché… il 30 ho una presentazione.»

30 maggio 2017
«Una cosa leggera.»
«Caldo, eh?»
«Minchia.»
«Bresaola e rucola va bene?»
«Benissimo, grazie.»

24 maggio 2017
«Ma è una notizia incredibile. Ma non ci posso credere! Ma voglio venire a Torino… Ma come possiamo organizzarci? Fammi pensare, devo prendere due giorni.»
«Aspetta. Ferma.»

7 aprile 2017
«Come va lì in “albergo”? So che l’operazione è andata bene.»
«Sto molto meglio. In attesa di esiti. Tu?»

31 maggio 2017
«Uscendo dal portone, guardi alla tua destra. È quello lì. Saranno trecento metri.»
«Poi che mi consigli?»
«Fai il lungopò, i Murazzi, e sei già nel salotto.»

30 maggio 2017
«Ragazzi, io non ho mangiato un cazzo. Va bene qualunque cosa.»

1 giugno 2017
«Entro in doccia. Abbastanza tranquillo. Considera che da lì a quaranta minuti ci vengono a prendere in albergo e ci portano alla premiazione. Acqua, mi insapono… Non so come, do un colpo al portabagnoschiuma portashampoo di metallo. Mi casca preciso sull’alluce. Un male bestia. Due madonne, mi guardo il piede e l’alluce è viola. Penso, porca puttana, cazzo, mi sono rotto il piede a un’ora dalla premiazione. Mi sciacquo, metto il piede sotto l’acqua ghiacciata, lo muovicchio. L’alluce è gonfio. Penso, dai, se fosse rotto adesso mi farebbe malissimo. Vaffanculo, intanto metto il calzino; stasera quando torno se ne parla.»

24 maggio 2017
«Mostriciattolo, tu lo sai cos’è il Premio Calvino.»
«Certo che lo so.»
«Sei seduta, sei comoda?»
«In sala d’aspetto.»

13 maggio 2017
«Sei sicuro?»
«Sicurissimo.»
«La pochette è un must. Non faccio uscire nessuno da qui senza pochette.»
«No. La pochette non la voglio.»

30 maggio 2017
«Com’è andata?»
«È andata bene. Adesso sono fuori con finalisti e calviniani. Poi ti racconto.

Opere segnalate – Edizione XXX

mercoledì, 5 Luglio 2017

Opere segnalate dal comitato di lettura

ASSO Paolo (1963), Uno di uno
→ “per la sottile e stilisticamente ineccepibile analitica esistenziale in precario equilibrio tra narrazione e saggio”

BESI Stefano (1979), Gli eroi di mattina dormono
→ “per la leggerezza di tocco e il fresco spirito con cui si mettono in campo non senza sfumature surreali quattro personaggi dalla fantasia molto spiccata”

CANU Giovanni (1948), Omine
→ “per l’interessante affresco, nel prisma visuale di un poliziotto napoletano, del passaggio di consegne, in Sardegna, tra banditismo tradizionale e nuovo banditismo dell’Anonima Sequestri”

CECCARANELLI Mauro (1966), Il mondo tutto tondo
→ “per una rivisitazione letteraria del genere noir − tra Gadda e Pasolini − che si distingue per la bellezza della prosa e la chiarezza dell’impianto”

CIVITARESE Rocco (1999), Ho una spina in gola
→”per gli argomenti e la lingua gradevolmente young adult di un romanzo che ripercorre con umorismo gli snodi canonici dell’adolescenza”

DRAGOTTA Fabio (1987), Vodkagrad
→ “per la crudezza e l’intensità con cui vi si affrontano i temi delle patologie famigliari, della prostituzione, dell’omofobia e del neonazismo nel quadro di una Russia dei nostri tempi moralmente degradata”

FIORELLI Lorena (1962), Le convenienze
→ “per la capacità di emozionare con una narrazione che tocca motivi sensibili della femminilità, avvalendosi di un impianto e di una scrittura saldamente tradizionali”

FRANCESCHIN Loretta (1951), Una storia da bruciare
→ “per il bel ritratto di una giovane e fragile donna idealista e per l’incisivo disegno di uno spicchio di retriva provincia veneta agli albori degli anni Settanta”

FRUSTACI Francesco (1983), Il giorno prima della rivoluzione
→ “per l’arduo tentativo di riscrivere gli anni della contestazione operaia torinese in un’ottica dal basso sul filo di una sintassi programmaticamente illetterata”

GALLESU Stefano (1982), La banda dello Zingaro
→ “per l’eccellente tour de force linguistico, variato sistematicamente sulla trivialità, con cui si narra la storia di una sgangherata banda di marginali”

GREGORIN Cristina (1964), Almanacco veneziano
→ “per la ricostruzione, effettuata con estrema cura artigianale, del sentire e dell’operare mercantile nella Venezia di fine Duecento, all’epoca della trasformazione oligarchica del governo cittadino”

LANZETTA Gino (1960), L’amore equatoriale
→ “per l’impeccabilità stilistica e il brioso taglio avanguardistico con cui viene portato avanti un complesso gioco d’incastri che ha come scena primaria la Milano esuberante del terzo millennio”

LA TELA Maria (1973), La fragilità degli occhi asciutti
→ “per l’inquietante analisi delle passioni tristi che segnano l’esistenza di quattro personaggi femminili dai destini incrociati in un luogo del Sud sospeso tra passato e presente”

MATRAXIA Simona (1986), Anonimo
→ “per la capacità di esprimere narrativamente, attraverso un ben delineato personaggio femminile, il fascino esercitato dalla musica nell’aura preromantica della Germania di fine Settecento”

MOSCA Marcello (1990), Il prodigio
→ “per l’originalità dello stile che parodia con misura scritture d’antan nel raccontare una moderna fiaba di trasformazione oscillante tra pulsioni di desiderio e di vendetta”

MUSCAS Nicola (1983), Muzzi in azzurro
→ “per il piglio scanzonato e accattivante e la scorrevolezza di scrittura con cui si narra l’ossessione per la propria squadra del cuore, il Cagliari, sullo sfondo di una calda estate adolescenziale”

ORGERA Alessio (1984), I martiri
→ “per l’amara e acuta riflessione sulla cedevolezza morale dell’individuo e sul cinismo del potere nei giorni della drammatica e grottesca caduta del regime di Ceauşescu”

PALOMBA Alfredo (1985), Teoria della comprensione profonda delle cose
→ “per l’entusiasmo dialettico e l’efficacia espressiva con cui l’autore affronta senza darsi respiro disparati materiali dell’odierna cultura mediatica, tra social, pornografia e letteratura”

PAPPALARDO Domenico (1976), Tappeto verde
→ “per l’ironico rumore di fondo e il gusto dell’iperbole con cui si declinano i cliché della sicilianità in una narrazione di grande piacevolezza che vede al proprio cuore il gioco del bigliardo”

PERRICONE Stefano (1960), Costumi succinti
→ “per la maliziosa leggerezza e il complice divertissement grazie a cui si documenta, con penna raffinata, la scoperta della sessualità tra le classi elevate nella Ostenda di inizio Novecento”

PERRICONE Stefano (1960), Un profumo di miele selvatico
→ “per la narrazione allusiva ed elusiva, permeata di echi letterari e metafisici, del mistero che circonda un personaggio di nome Maria”

PIZZI Licia (1974), Piena di Grazia
→ “per la potenza visionaria di una serrata favola nera in cui non esiste remissione né salvezza per nessuno, ambientata in un truce e lutulento Sud fuori del tempo”

RUSSO Carlo (1956), Il dilemma del prigioniero
→ “per la ricca articolazione di un testo che si muove tra le dinamiche e le ipocrisie della vita d’ufficio e la ricerca di una felicità personale”

SALVOTTI Samuela (1966), Una dea qualunque
→ “per lo spaesante modo di affrontare la storia della propria madre sull’onda di una scrittura densa ed enigmatica, sempre in bilico tra verosimile e inverosimile”

TOSCANO Mariella (1962), Le scogliere di Hansen
→ “per aver saputo dare voce potente e straziante alla visione del mondo allucinata di una persona affetta da schizofrenia”

VASCO Barbara (1974), Il condominio degli aspiranti suicidi
→ “per l’intelligente humour nero con cui è trattata la variegata tavolozza di casi disperati dei nostri tempi che animano una trama complessa e ben congegnata”