Spesso si tende a sottovalutare la stupidità umana: la mia, in particolare.
Infatti, dopo aver dilapidato l’eredità dei miei figli in ansiolitici, decido anche quest’anno di partecipare al Premio Calvino. In fondo io non ho figli.
– Bravo! Non devi rinunciare ai tuoi sogni. In bocca al lupo! – dice mia moglie chiudendo la valigia e porgendomi un’istanza di divorzio.
Poveretta, ancora non si è ripresa dall’ultima volta. Apprendo che si è offerta volontaria per partecipare ad un commando suicida in Afghanistan.
– Dopo un anno passato con te, mi rilassa, – ha detto chiudendosi la porta alle spalle.
Non mi lascio certo demoralizzare da così poco e comincio subito a impacchettare il mio nuovo manoscritto. Questa volta voglio presentare “Le sorelle Soffici”, un romanzo in cui credo molto e che i miei amici chiamano affettuosamente “La Boiata”. Invio il manoscritto alle 23:30 dell’ultimo giorno utile per la presentazione e alle 6:04 del mattino seguente sono già attaccato al telefono in attesa di una risposta positiva. Alle 7:12 entro in depressione. Non mi chiameranno mai. Dove ho sbagliato? Forse il titolo è troppo banale, sembra la storia di due anziane zitelle torinesi. Del resto, gli altri due titoli che avevo in mente e cioè “Terrore sull’Himalaya” e “Stangone al tabarin”, erano decisamente peggio.
Dovete sapere che il Calvino è un premio iperintellettuale e per vincere ci vuole un titolo adatto, roba tipo “La signorina K. e la toeletta polacca” oppure “Afasie corporali n°4”. Il mio titolo dell’anno scorso era “Il mostro con gli occhi grossi” che poi ho opportunamente rinominato “La notte dei bambini cometa” per dargli una chance di vittoria.
Comunque, capisco che questa volta non sarò selezionato e comincio a pavesare la casa a lutto e a inviare lettere d’addio agli amici raccomandando la pubblicazione postuma delle mie opere.
Fortunatamente una task force del Pentagono rintraccia mia moglie in Afghanistan e la convince a tornare da me.
– Solo lei è in grado di gestirlo, – le dicono. – Torni, lo faccia per il bene dell’umanità.
E lei, inaspettatamente, torna.
L’indice Dow Jones si alza di quattro punti, si riforma la foresta amazzonica, NON si riformano più i Duran Duran. Insomma, tutto volge al meglio.
Resta solo un problema: mia madre. Per chi si fosse perso le puntate precedenti, dirò che la mia mamma è una bravissima persona ma non tollera che qualcuno vinca al posto mio. Ne sanno qualcosa i giurati dell’anno scorso che ora vivono in un bunker sorvegliati a vista per paura di ritorsioni. Quei furbetti del Calvino, per far perdere le loro tracce, hanno spostato la sede della premiazione a Palazzo Barolo, un modesto appartamento di seicento stanze abitato dall’umile patriota Silvio Pellico.
Durante la cerimonia tutto sembra filare per il meglio ma quando la giuria, con voce tremante, annuncia la vittoria di “Malacrianza”, mia madre, nascosta tra la folla camuffata da cosacco di Linz, salta sul palco brandendo un archibugio cimelio dello Spielberg.
– Nessuno esce di qui se mio figlio non vince un Premio Calvino. Anzi, abbondiamo, tre Calvini! – grida puntando l’arma su Nicola Lagioia.
Tutto sembra perduto ma la situazione viene salvata dalla prontezza di spirito di Gaia Salvadori del Calvino che ha con sé delle spillette con l’effigie dell’immortale maestro de “Le città invisibili”.
Me ne appunta tre sul petto e dice: ”Dichiaro Pierpaolo Vettori vincitore del premio Tre Calvini 2011”.
Mia madre, gonfia d’orgoglio, si dilegua nella nebbia gridando: ”Hasta la victoria siempre“.
Più tardi, mentre torno a casa, la tristezza mi accompagna come un venditore di rose al ristorante: insistente e impossibile da scacciare. Penso che ormai la mia carriera di scrittore sia finita. Eppure non è così. Il giorno dopo ricevo dieci contratti in bianco dalle più grandi case editrici italiane. Ovvio, se pubblico non potrò MAI più partecipare al Calvino e mia madre non sarebbe più un pericolo per nessuno.
Solo che i contratti vogliono che li firmi LEI!
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